B&B e affitti brevi sono fonte di nuovo redd…
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17 Ottobre 2016
Quasi dimezzati: il tesoretto che bisogna mettere da parte per comperare casa nell’arco di una vita si è quasi dimezzato. Una bella notizia, ma certo molta complicità è arrivata dalla crisi degli ultimi sette-otto anni che ha letteralmente falciato il valore delle abitazioni. E, secondo fronte, i tassi d’interesse al minimo storico hanno abbassato anche il costo dei mutui per acquistare casa. Così, se fino a poco più di una decina di anni fa, nel 2005, per comprare casa occorreva impegnare dieci annualità di stipendio, ora bastano i guadagni di sei anni e tre mesi.
I dati elaborati dall’Ufficio studi Tecnocasa, emergono proprio dalla consueta indagine basata sul prezzo al metro quadro di un appartamento medio usato di 85 metri quadrati e degli stipendi contrattuali per i lavoratori dipendenti certificati dalle rilevazioni Istat, con l’esclusione dei dirigenti e al lordo di tasse e trattenute previdenziali. Certo il tempo di lavoro stimato per assicurarsi un tetto sembra relativamente corto, ma il calcolo si basa sull’ipotesi di un reddito interamente destinato all’acquisto di casa.
Un mercato senza differenza In pratica, basterebbero sei anni se in quel periodo fosse possibile rinunciare completamente a ogni tipo di consumo.
Più che del tempo di lavoro che nei fatti si impiega per comprare una casa, l’indagine indica come negli ultimi anni siano calati i prezzi dai picchi del 2005, quando in pratica il mercato non faceva differenza fra il valore dell’usato e quello delle nuove case, senza che ciò tuttavia serva oggi a ridare slancio a un mercato che a Lecco, ci dicono costruttori e immobiliaristi, è ancora fermo sull’onda lunga della crisi economica.
Inoltre il dato è anche indicativo di come, almeno in parte, siano aumentate le retribuzioni medie. Gli anni di lavoro necessari a comprar casa, in una media nazionale sulle principali province, passano dai 10 del 2005 ai 10 e due mesi del 2006 e 2007, per poi scendere gradualmente fino al dato attuale riferito al primo semestre 2016.
Senza dubbio, quindi, fra le cause va rilevata come dal 2005 ad oggi i prezzi delle case si siano ridotti ad un ritmo mediamente del 25-30%. E questo vale anche per gli immobili già abitati, l’usato. Anche il nuovo è stato toccato ma in maniera meno importante. Inoltre, a concorrere che nella cifra finale va messo anche il costo del mutuo, che oggi si basa su tassi di interesse di 3-3,5 punti in meno rispetto a undici anni fa.
Dunque è verosimile che il tempo di lavoro da destinare all’acquisto di una casa sia calato di oltre il 40%, ma tutto ciò, sottolinea, non smuove il mercato, perché ancora non sembra riprendersi quel clima di fiducia che occorre per spingere in maniera decisa verso l’acquisto di una casa, l’investimento più importante della vita di una famiglia.
Numeri senza euforia I dati che indicano un boom di erogazioni, in realtà, riflettono in gran parte il meccanismo di operazioni legate alle surroghe di mutui già esistenti, risultato della concorrenza che fra banche proprio su prodotti, più o meno innovativi, legati al finanziamento della prima casa. Ad essere fermo è il mercato della prima casa ma anche quello di chi investe per mettere a reddito l’immobile, contando sulla possibilità che prima o poi il mattone torni a recuperare valore.
Resta la convinzione fra gli operatori che, nonostante tutto, investire nel mattone sia ancora la scelta migliore in sé. Ma anche in relazione a come sta andando il mercato degli investimenti più tradizionali, quelli in titoli di Stato oggi a zero nei rendimenti. Così come la rendita è a zero per chi decide di lasciare i propri soldi depositati in banca. Un certo target che ha liquidità per acquistare e mettere a reddito può contare su una resa netta intorno al 4-5%, difficile oggi da ottenere stando su un profilo di rischio medio basso.
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